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Sembra incredibile visto il successo delle birre artigianali nell’ultimo decennio, ma questo fenomeno, in Italia, è stato regolamentato per legge solo da pochi mesi.
Cerchiamo di spiegarci meglio: fino a febbraio di quest’anno, la legge distingueva i vari tipi di birra secondo i criteri stabiliti da una norma che risaliva al 1962 e che prendeva in considerazione il livello di grado Plato (livello zuccherino del mosto prima della fermentazione). La classificazione, quindi, divideva la bevanda in cinque categorie – birra analcolica, light, normale (o “birra” senza specificazioni), speciale e doppio malto. Ma non c’erano indicazioni sul contenuto della birra.
Su proposta di Giuseppe Collesi, presidente della Fabbrica della Birra Tenute Collesi e portavoce di tante altre piccole realtà, ora la situazione è cambiata dopo ben 54 anni.
Lo scorso febbraio, infatti, Camera e Senato hanno approvato un emendamento al decreto legge C 3119 in materia di semplificazione e sicurezza agroalimentare, che contiene, finalmente, una vera definizione di birra artigianale:
“Si definisce birra artigianale la birra prodotta da piccoli birrifici indipendenti e non sottoposta, durante la fase di produzione, a processi di pastorizzazione e microfiltrazione. Ai fini del presente comma si intende per piccolo birrificio indipendente un birrificio che sia legalmente ed economicamente indipendente da qualsiasi altro birrificio, che utilizzi impianti fisicamente distinti da quelli di qualsiasi altro birrificio, che non operi sotto licenza e la cui produzione annua non superi i 200.000 ettolitri, includendo in questo quantitativo le quantità di prodotto per conto terzi”.
Di fatto, quindi, la nuova legge impone un limite di produzione annua, vieta processi come pastorizzazione e microfiltrazione e tutela l’indipendenza dai gruppi industriali per chi produce birra artigianale.
E voi? Cosa vi aspettate quando scegliete di bere una birra artigianale?
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